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Barolo: bastano 300 metri dalla DOCG per far scattare la frode in commercio

Con la sentenza n. 42609/2022, la Cassazione penale, in un procedimento per tentata frode in commercio di cui all’art. 515 c.p., ha confermato la configurabilità del reato in capo al produttore che detenga per la vendita, compiendo atti idonei diretti alla consegna agli acquirenti, un ingente numero di bottiglie di vino, sigillate e munite di contrassegno, etichettate come Barolo DOCG, laddove le operazioni di vinificazione e di invecchiamento delle uve risultino effettuate anche presso uno stabilimento sito in un comune non compreso nella zona di produzione del vino Barolo, sebbene da lì distante appena 300 metri; infatti in tal caso la denominazione risulta attribuita in violazione del disciplinare di produzione approvato con D.p.r. 1° luglio 1980, che prevede che “tutte le operazioni di vinificazione ed invecchiamento debbano svolgersi interamente all’interno di un’area consentita, non essendo sufficienti che le uve provengano da vigneti siti nell’area stessa”, conseguendone l’integrazione dell’illecito penale. Nell’accogliere il ricorso della Procura generale, la Cassazione ha inoltre evidenziato che il giudice di appello, nell’ipotesi di riforma in senso assolutorio di una sentenza di condanna, pur non avendo l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, è comunque tenuto a offrire una motivazione puntuale e adeguata, dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado.


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